Viaggio nella pedagogia alternativa: la classe capovolta

Come accorgersi delle potenzialità dei bambini della classe e delle loro difficoltà?
Come attuare una didattica che rimuova gli ostacoli per l’interesse e l’apprendimento di tutti?
Come organizzare le attività didattiche in modo da avere più tempo per seguire tutti i bambini?

In una parola: come creare una scuola migliore e a misura di studente? CIASCUNO studente?

Il nostro viaggio nei metodi alternativi per l’insegnamento oggi fa tappa in questa mia recente scoperta che mi ha folgorata: la flipped class o classe capovolta.

Questo approccio nasce dall’esigenza di rendere il tempo a scuola più produttivo e funzionale alle esigenze dello stile di apprendimento degli studenti di oggi…che diciamolo….è radicalmente cambiato come è cambiato il nostro mondo, la nostra società e il nostro substrato sociale. Internet ha cambiato tutto e la scuola, generalmente, non ha saputo stare al passo.

L’insegnante di oggi non è un alieno, è una persona ben calata nella realtà e spesso si trova inadeguatamente costretta a sostenere l’antico ruolo di trasmettitore di sapere con strumenti ormai superati. Qualcosa non gli torna e il dibattito si apre.

L’insegnamento capovolto risponde a questo stato di cose con l’inversione dei due momenti classici, lezione e studio individuale. La lezione viene spostata a casa sfruttando appieno tutte le potenzialità dei materiali didattici online mentre lo studio individuale viene spostato a scuola dove il setting collaborativo consente di applicare, senza il timore di ristrettezze temporali (dobbiamo finire il programma, forza!!! Quante volte lo abbiamo sentito quando, seduti ai banchi, c’eravamo noi?), una didattica di apprendimento attivo socializzante e personalizzata. Il compito dell’insegnante diventa quello di stimolare, allargare gli orizzonti, proporre nuove strade e monitorare l’apprendimento, al fianco dello studente.

Per saperne di più ho fatto qualche domanda ad una insegnante che da anni pratica questa metodologia nella scuola pubblica.

Lei è Angela e il suo blog con annessa pagina Facebook la trovate QUI.

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Viaggio nella pedagogia alternativa: l’asilo nel bosco

Ho iniziato da tempo ad interessarmi di pedagogia, ovviamente con il lavoro che faccio era imprescindibile, e la materia è veramente complessa, varia e da approfondire con cautela.

Tanto varia che nuove correnti di pensiero sono nate negli ultimi 50 anni e magari nemmeno ce ne siamo accorti.

Da genitori, a volte è difficile districarsi tra le offerte formative, la pedagogia che le sostiene, la struttura che accoglie e gli insegnanti o educatori che si prendono cura dei nostri figli.

Ho deciso di parlarvi, in due “appuntamenti” dedicati, di due modi diversi di vivere la scuola con cui mi sono scontrata-incontrata più recentemente: l’asilo nel bosco e la flipped class.

Partiamo subito con qualche informazione sulla “pedagogia del bosco” che sta prendendo piede anche nella mia città.

Cos’è, dove e quando nasce?

Il primo asilo nel bosco è nato negli anni ’50 in Danimarca ma nel giro di pochi anni nasceranno tanti asili di questo genere in tutto il Nord Europa.

Sono centri educativi dove la giornata è svolta principalmente all”aperto in qualunque stagione dell’anno (sì, anche in inverno!) e la cui filosofia si basa su principi ben definiti:

  • la natura come fonte inesauribile di gioco e stimolazione positiva nel bambino, che ne riconoscerà istintivamente il valore e imparerà a rispettarne i ritmi e la valenza per noi essere umani
  • il gioco libero, associato ad una routine quotidiana, come stimolo allo sviluppo delle relazioni sociali, della sicurezza e della fiducia in sé stessi anche in relazione alla possibilità di muoversi in libertà in uno spazio ideale come quello del bosco

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…e in Italia?

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E se i bulli fossero i genitori?

Ho guardato tutta d’un fiato la serie del momento “13 reasons why“, come tutti a giudicare dai post che vedo sui social.

Credo ci siano ragioni ben precise per cui questa serie ha riscosso così tanto successo e di certo è vero che negli ultimi anni tante delle serie tv prodotte abbiano raggiunto livelli di sceneggiatura e produzione migliori della maggior parte dei film girati quindi non c’è nulla di cui stupirsi.

La serie in questione non è priva di difetti, ci mancherebbe, ma ha il grande merito di portare ad una riflessione su temi che finora sono stati toccati in modi molto diversi da questo che risulta, di fatto, il più immediato.

Per chi vivesse in un universo parallelo e non sapesse di che sto parlando, evito spoiler ma vi basti sapere che la serie parla di una ragazza di 16 anni, suicida, che decide di lasciare delle cassette audio dove racconta i motivi che l’hanno spinta a compiere un gesto tanto disperato e farle avere a coloro che hanno contribuito a renderle la vita insopportabile.

In parole semplici può sembrare una commediola da teenagers, nel particolare mi ha colpito perchè mi ha costretta alla riflessione su un tema attuale come non mai. I casi di bullismo si sprecano nelle cronache dei nostri giornali, come se prima non esistesse un fenomeno del genere.

No, mi dispiace, c’è un po’ di bullo in ognuno di noi, fatto o subito.

Ci siamo passati in molti.

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L’amore ai tempi dell’asilo #2

“Mamma ho trovato una fidanzata”

“Ah, un’altra?”

“No Giulia”

“Non è più Giulia? Cioè l’hai cambiata?”

“Sì, mamma, perchè Giulia è monella e mi tratta male”

“Beh, allora hai fatto bene…e come si chiama questa nuova?”

“Anita. Perché Anita è bella, gentile e dice sempre grazie”

“Pure educata!”

“Sì mamma, è quella. E poi non mi picchia mai”

“…eh…sarebbe il minimo sindacale ma…”

Nella conversazione avvincente si inserisce Cinno R.

“Anche Alice non mi picchia. Nemmeno gli altri due”

“…in che senso? gli altri amici?”

“No, gli altri fidanzati”

“Ha 3 fidanzati? tu e altri due?!”

“Beh sì mamma, da solo non ce la faccio”

Chi ben comincia, è a metà dell’opera…

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